Infanzia e vita quotidiana a Onore

C’è stato un tempo, a Onore, in cui tutto era diverso…

In cui le mattine d’inverno iniziavano nel caldo silenzio delle stalle, tra il respiro delle mucche e il rumore dei primi passi frettolosi sui pavimenti di pietra o sulla terra battuta.

Onore, come molti piccoli paesi della Valseriana, si svegliava con il sole, ma spesso la giornata di bambini e genitori era già iniziata da diverse ore, con la premura dei padri che uscivano di soppiatto per recarsi al lavoro, molto spesso nei campi, talvolta accompagnati dagli adolescenti di casa.

E con il padre, si svegliava la madre che, con la sua pratica urgenza, preparava i più piccoli alla giornata.

Case e cascine erano un formicolare di passi, di voci e di versi di animali… una chiara dimostrazione di come le case, a quei tempi, custodivano storie di famiglie numerose, spesso contadine.

Erano in sette, tra fratelli e sorelle a casa di Adelia e Anselmina. Le due sorelle li elencano tutti senza esitazione.

Altri sei figli, tre maschi e tre femmine, vivevano tutti insieme a casa di Lucia.

E poi c’è Vittorina che racconta di come “La mamma ha avuto otto figli”.

Ora sono donne anziane, ma “i bei tempi” se li ricordano bene, tanto che tutte, in un modo o nell’altro, pronunciano parole quasi di rimpianto: “eravamo fortunate”, “non ci mancava niente”, “eravamo contenti, felici”, “vivevamo molto meglio, vivevamo più tranquilli”, “si stava bene”.

E non sono solo le donne a pensarla così, perché anche Antonio non sembra discostarsi da questi pensieri, dicendo la sua: “Una bella vita, che noi non la facciamo ancora oggi

Eppure, era una vita dura, faticosa, impegnativa…

Ricordano che c’era chi aiutava in casa con i più piccoli, chi usciva nei campi la mattina alle cinque, chi partiva per mesi, con destinazione Svizzera, alla ricerca di lavoro, e chi, più fortunato, andava a scuola.

Una vita tra scuola e casa

Perché c’è stato un tempo, a Onore, in cui la scuola era una conquista più che una certezza.

“Ho fatto solo la quarta elementare.” conferma Antonio, “Perché a Onore non c’era la quinta”.

La conferma arriva da Vittorina, che afferma “Prima era solo fino alla quarta, poi hanno messo la quinta. Quando ci sono entrata io, era il primo anno che facevano la quinta elementare”.

Una dimostrazione del lento cammino verso l’istruzione diffusa a Onore, come nel resto dello Stivale.

I bambini, ancora piccoli, attraversavano da soli, a piedi, le viuzze di ciottoli, stringendo la cartella di cuoio e un unico quaderno sottobraccio.

Chi non poteva andare tutti i giorni a scuola, aiutava fratelli e genitori nella cascina, mescolando compiti di aritmetica e gesti ereditati dagli adulti: portare il fieno, accudire i più piccoli, sgobbare nella cura degli animali.

E mentre Anselmina racconta di quando andava nel pascolo con il fratello, è Adelia a ricordare meglio la giornata tipo di una bambina già responsabilizzata:

“Io ero a casa a fare la mamma a mia sorella Giacomina. Avevo 8 anni. Ero con lei quando papà è andato in Svizzera e la mamma andava su alla cascina con Anselmina e le mucche. Ho imparato anche a fasciarla”.

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I giochi per strada

Ma la vita dei più giovani non era solo fatica e lavoro.

Le risate dei bambini, che giocavano a nascondino, risuonavano nei cortili della scuola, nello spiazzo dell’oratorio, tra le vie del paese.

È Lucia a raccontare di come “giocavamo a palla lunga e a nascondino nelle cucine”.

O Vittorina, che ricorda come “da piccole si andava all’oratorio, ci si trovava in piazza a giocare a palla”.

Una corsa nella neve, un cerchio di mani unite in un infinito “Girotondo”… A volte, un semplice bastoncino si trasformava in una fonte di allegria e di sfida.

E chi riusciva nell’impresa di far girare un cerchio con un bastone, diventava un piccolo grande eroe, almeno per un giorno.

Almeno finché un urlo lontano non richiamava all’ordine e, allora, si correva in cascina e si tornava a portare il fieno, ad accudire i più piccoli e a sgobbare nella cura degli animali.

L’infanzia nella cascina

Già, perché c’è stato un tempo, a Onore, in cui i bambini conoscevano il caldo fiato degli animali meglio del tepore di un camino.

Un tempo in cui si dormiva nella stalla per risparmiare la legna, e in cui il mastello serviva per fare il bucato, ma anche per lavarsi, uno dopo l’altro… nella stessa acqua, per non sprecarla.

Ecco allora che, quando non si aveva nient’altro che un tetto sopra la testa, la casa era anche stalla, fienile, forno…

Adelia e Anselmina offrono un quadro abbastanza chiaro delle case di allora…

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Avevamo la stalla. Sotto, le mucche, e sopra, il fienile. Poi c’era la tettoia della legna, e dietro si portava il letame delle mucche. Noi d’inverno stavamo giù nella stalla per stare al caldo

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E mentre i giovani di casa facevano da babysitter ai fratelli minori e il tempo dei giochi si mescolava a quello delle responsabilità, c’era anche chi, pensieroso, da una finestra bagnata di condensa ghiacciata, osservava la strada, in attesa del ritorno della madre, impegnata da mattina a sera a cucire e rammendare i vestiti altrui, o del padre, emigrato per lavoro.

Perché una vita di ristrettezze economiche costringeva i grandi a cercare fortuna altrove, spesso in Svizzera, ma a volte anche più lontano: in Nigeria, in Guatemala…

Erano spesso le donne a dover mandare avanti la casa e i figli nel quotidiano.

Ma non erano solo madri e casalinghe: erano sarte, contadine, artigiane…

Genitori d’altri tempi: lavoro, cura, assenza

Già, anche le donne lavoravano, nonostante, come racconta Vittorina, “la responsabilità dei figli era tutta mia” perché il marito, di ritorno dalla Svizzera nel fine settimana, le diceva “Tu devi crescere i figli. Devi crescerli te, perché io son via e… se quando torno e li richiamo, poi non mi vogliono più bene?”

Ma anche Vittorina lavorava, come sarta in casa, e come lei, molte altre, perché nelle settimane di raccolto o nei giorni di festa, in molte famiglie, spesso serviva una forza in più.

E due braccia che avevano sollevato sette o otto figli, potevano tranquillamente imbracciare anche zappa e rastrello all’occorrenza.

Ma chi pensa che quelli erano giorni difficili, si sbaglia, perché i momenti difficili erano altri.

“Eravamo contenti lo stesso…”

Perché Onore, nella sua storia, ha conosciuto anche malattie ed epidemie.

E, in quei casi, il sostegno arrivava solo dal Dottor Merelli, che giungeva da Castione, portando le prime dosi di penicillina per le bronchiti e le broncopolmoniti, o semplicemente portando conforto e speranza contro i flagelli della Spagnola o dell’Asiatica.

È Antonio a raccontare come la malattia era stata sempre presente a Onore, anche prima della sua generazione. Racconta, infatti, di come il nonno materno morì di Spagnola nel 1918, e di sua mamma, allora bambina, che veniva mandata via con le pecore per farla stare lontana ed evitarle il contagio.

Relazioni familiari e tempo libero

Perché c’è stato un tempo, a Onore, in cui si moriva per poco, per un raffreddore non curato, per una ferita che si infettava, per la mancanza di pane che non sempre compariva sulla tavola.

Eppure, in un modo o nell’altro, si andava avanti e si era felici.

Tra la fatica, la scuola a giorni alterni e i giochi “inventati”, c’era sempre spazio per la felicità: “forse la gente era più contenta di adesso” afferma Lucia con un filo di nostalgia nella voce.

La gioia vera, allora, era in una giornata di sole, in un padre che tornava dopo mesi di assenza da una terra lontana, nel profumo della polenta o in una partita a biglie vinta in cortile.

Genitori e figli vivevano relazioni strette, quasi simbiotiche, molto più di oggi, relazioni fatte di poche parole, ma di molti gesti e di insegnamenti tramandati con l’esempio.

Papà parlava solo se necessario.” racconta ancora Vittorina, “Ma era comprensivo. Gli piaceva la musica. Ci portava a ballare. Ci ha portati all’Arena di Verona a vedere l’Opera”.

Era un mondo diverso, un mondo lontano, in cui le tradizioni, come quella della preparazione della dote per le ragazze, contavano ancora.

Negli anni, poi, hanno iniziato a cedere, poco alla volta, il passo al progresso e all’emancipazione femminile, con le donne che scoprivano l’audacia di indossare i pantaloni o ambivano alla grande città, Verona, per sognare, almeno per una notte, la grande Opera dell’Arena.

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Onore di ieri e di oggi

Perché c’è stato un tempo, a Onore, in cui tutto era diverso… ma c’è anche un tempo in cui non tutto è cambiato.

Se ascolti bene, infatti, puoi ancora sentirle quelle voci che risuonano tra le mura antiche e nelle piazze. E quando riesci a percepirle, ti accorgi che qualcosa, forse, è rimasto.

Certo, la vita si è fatta più veloce, i bambini non attraversano più le contrade con la cartella di cuoio, ma salgono su uno scuolabus moderno, e le madri lavoratrici sono ormai una normalità.

Stalle e fienili sono pressoché scomparsi e le tavole in casa non hanno più dieci sedie, ma quattro, quando si è in tanti.

Eppure, Onore difende ancora il suo tessuto comunitario.​

Il paese, pur cambiando ed evolvendosi, ha saputo conservare la memoria delle sue radici: nella festa degli Alpini, nei racconti degli anziani, nelle foto e nei documenti ingialliti che compongono un archivio storico, oggi anche digitale, nell’abbraccio del suo paesaggio, protetto, oggi come allora, dalle Alpi Orobie.​

Oggi, tra sport, cultura e nuove iniziative, Onore guarda avanti e si stringe intorno ai suoi riti e ai suoi valori, e prova, con tutto sé stesso, a non dimenticare l’eredità di fatica e di felicità dei tempi passati.

E forse, proprio nel custodire questa memoria condivisa, si è scoperto ancora capace di essere comunità.​

Perché a Onore, oggi come allora, l’identità continua a essere un intreccio di storia, famiglia, lavoro e relazioni.

E la felicità, come raccontano gli anziani, è ancora il frutto di ciò che si costruisce insieme, ogni giorno

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